sabato 27 aprile 2024

gli agonisti mi portano in Brembo

 


Ieri ho scoperto un altro modo di andare in canoa, quello del fiume.

Prendete un kayaker marino, anche mediamente capace, e buttatelo in acqua bianca. Probabilmente sarà per lui un’esperienza divertente… ma allo stesso tempo sicuramente anche frustrante perché tutta la sua abilità tecnica, che nelle sue acque basta a fare quel che vuole anche tra onde e vento, qui sembra non bastare per arrivare al risultato. Insomma, sei bravino nei tuoi bananoni da 5 metri e mezzo. Ma affrontare le rapide in questi gusci di noce è tutta un’altra cosa. 

il mio "guscio di noce" 
 Guardare i colleghi fluviali è fantastico: sembrano danzare nella corrente senza litigarci, scivolare sui ritorni come su un tappeto volante ed aver sempre pronto il colpo giusto, al momento giusto e con gli angoli giusti.


Anche la scorsa estate al campo slalom di San Pellegrino era andata più o meno così, in quell'occasione però non ho avuto un netto approccio alla mentalità fluviale, non si è fatta una discesa vera e propria ma qualche oretta di allenamento su e giù per un campo gara, per giunta in contesto cittadino. Praticamente come quando si va sotto la diga di Olginate a giocare, solo con un grado di difficoltà tecnica in più. Quel che comunque era balzato all'occhio - anche quella volta - è che se ho ancora da imparare tanto in kayak da mare…in fiume praticamente è come partire quasi da zero.

Ieri sono stato invitato dagli agonisti del K1 discesa a passare una mezza giornata sul Brembo. Mi ero ripromesso di approfondire le dinamiche fluviali ma trovo difficile trovare occasione di andare oltre al breve tratto di acqua mossa a valle della diga di Olginate, quindi come non accettare!

Noto subito che ci sono delle dinamiche molto differenti rispetto al kayak da mare.  Oggi le ho giusto intraviste dato che Ugo, istruttore agonista di acqua mossa, conosce bene questo tratto di fiume e non si vi è mai stata occasione di valutare ed allestire delle sicure da terra con le sacche da lancio. Si è comunque fatto uno scout mentre raggiungevamo il punto d’imbarco con il furgone, si accosta e si sfruttano i ponti o i sentieri nel bosco che raggiungono il fiume per studiarne le rapide. Si sta fermi tutti quanti  a guardare l’acqua, a capire se si fa o si trasborda, a far notare i pericoli, a discutere le linee, a scegliere una morta in cui il primo si ferma a fare sicurezza.
Insomma - sebbene l'approccio sia stato agonistico e non esplorativo - la differenza di relazione con l'ambiente rispetto al mio mondo si è vista.

In cambio di tutte queste attenzioni, necessarie per discenderlo (si spera) senza farsi male, il fiume regala un cocktail di emozioni che per un marino sono piuttosto rare. Un mix di paura-eccitazione che mi è capitato di trovare solo le rare volte in cui in acqua salata ho trovato condizioni di surf per i miei standard impegnative. La differenza è che in mare dura al massimo una manciata di secondi: da quando ti agganci al frangente fino a quando arrivi in spiaggia in appoggio; poi seguono minuti di pagaiate verso il largo e l’attesa di una nuova onda giusta per salire nuovamente su questa breve giostra. In fiume invece dura minuti interi, forse ore; finché sei dentro sei dentro… l’acqua è turbolenta e cambia direzione, velocità e colore ad ogni metro, ad ogni centimetro. Ed anche quando sei fermo a studiare la prossima rapida da affrontare l’adrenalina non ti lascia. Stai li a fissare l’acqua che scorre, pensando con gli altri a cosa fare. Vado centrale per evitare un buco, poi devo tagliare subito a sinistra per schivare un sasso. E se non ce la faccio?  Se mi ribalto dopo quel saltino devi fare il roll subito altrimenti rischi di finire su quel masso. E se non mi riesce? In mare fino ad ora non ne ho mai mancato uno neanche in surf di roll… ma sotto la diga ho fatto tanti bagni. Se vado a bagno qui? Stare a bagno con la corrente che ti spinge verso la prossima rapida non è certamente piacevole. Riuscirò a raggiungere la riva prima della prossima rapida? 

Ieri ne ho fatti 3 di bagni. Di cui due sulla prima rapida di III grado che si incontra; si chiama “la Irma”.

 La prima volta sono finito in acqua ancor prima di entrarci, l’ho fatta tutta a nuoto e in quei muri di acqua bianca e turbolenta non è neache facile tenere la posizione di sicurezza. L'ho voluta riprovare e la seconda volta sono uscito dal primo buco in posizione sbagliata e non sono riuscito a riposizionarmi e mettere la pagaia in appoggio prima di essere inghiottito dal buco centrale, il più grosso. L’acqua è arrivata sopra la coperta della Rainbow Zulu e mi ha girato sottosopra. Non sono neanche riuscito a mettermi in posizione per tentare di fare un roll; sentivo l’acqua che mi tirava la pagaia verso il basso, allora l’ho tenuta con una sola mano ed ho stappato. Gli altri l’hanno rifatta due o tre volte, io ho deciso di non insistere. Nuotare in acqua mossa è sfiancante e la discesa è appena iniziata. Da terra ho fatto un video agli Zucchi mentre la rifacevano per la terza volta ed una foto ad Ugo mentre è completamente dentro al buco, sembrava sparito una frazione di secondo prima di vedere il musone del suo kayak riemergere dalla schiuma bianca puntando il cielo. Che spettacolo!

Ugo inghiottito dal buco centrale della Irma

Alla rapida successiva son finito ancora sottosopra, ma ero ormai alla fine del tratto più turbolento per cui in un paio di secondi di apnea ho raggiunto acqua tranquilla ed ho tirato un roll un po’ scomposto.Un po’ tanto scomposto.

Ho fatto un’altro bagno, non ricordo dove. Mi sono messo in posizione per il roll ma ho sentito due colpi sulla schiena: era un tratto pieno di sassoni appena sotto il pelo dell’acqua e mi è venuta paura di essere colpito in faccia o al torace; la paura di sbagliare il roll e prolungare questa situazione di estrema vulnerabilità mi ha portato a stappare ed uscire dal kayak.  Sara mi ha aiutato a raggiungere la riva esterna all’ansa, rocciosa e verticale, spingendo il mio kayak allagato. Non c’era tempo per raggiungere la spiaggetta al lato opposto, la rapida successiva si avvicinava pericolosamente. Aggrappato alla roccia ho con gran fatica svuotato il kayak e mi sono reimbarcato.

Fortunatamente la rapida successiva era una tranquilla raschiera in cui ci si poteva rilassare a fare lo slalom per schivare i sassi, mi è servita molto per prendere fiato, raccogliere le energie e fare pace con il fiume.

Anche qui si è vista la differenza tra il mio approccio alla canoa e quello dei miei compagni di discesa: loro cercavano la linea più veloce per superare questa serie di ostacoli, io ci avrei messo mezz'ora per percorrere quei 50m giocando ad entrare ed uscire dalle morte dietro ad ogni sasso affiorante.

Le due rapide più famose di questo tratto di Brembo, ovvero “la Signora” ed “il massone” invece le ho passate discretamente bene… che per i miei standard attuali significa rimanendo verticale.
Durante lo scouting abbiamo visto passare due raft, non l'ho mai provato ma il kayak è sicuramente mille volte più divertente.  

Il passaggio sotto al ponte della SP26 mi preoccupava un po’. Mentre salivamo a San Giovanni Bianco ci siamo fermati a lungo a studiarlo, e devo dire a ragione. La vista che sia aveva dal kayak gli ultimi 20-30 metri prima del salto che sta sotto l’arcata sinistra mi ha quasi terrorizzato. Però devo dire che è stato più adrenalinico e spettacolare degli spot precedenti ma meno insidioso: ho osservato gli altri tre passare con eleganza e sono partito fermemente intezionato a seguire le loro linee. Uno scivolo d’acqua scura e velocissima in mezzo a turbinii di schiuma bianca, un richiamo rapido a sinistra seguito da una spinta energica per schivare un grosso masso semisommerso e poi un appoggio basso – con una pancia ben pronunciata- a destra per evitare di sfracellarsi contro i sassi che stanno a riva ed entrare in morta: si prende fiato e si guarda da sotto questo scenografico passaggio pensando esultante: “ce l’ho fatta!”.

Ho picchiettato il palmo della mano sull'acqua per ringraziare il Brembo di avermi concesso l'onore di passare a testa in su queste tre maestose rapide. 

Credo inoltre di aver anche capito quale sia la chiave per domare la Zulu: pance pronunciate ed evitare di prendere i buchi di punta. Se l’acqua sale sopra la coperta tu ti ritrovi a testa in giù.


Da qui in poi c’è stato un lungo tratto di fiume con una pendenza leggera ma costante. Con questo livello d’acqua, il minimo necessario per poter scendere, è tutto un manovrare per schivare sassi e cercare delle linee di acqua profonda a sufficienza per far passare il kayak ed immergere la pagaia.

Infatti sia Ugo che Sara ed Alberto, dopo aver visto che l’idrometro segnava 113cm, hanno sapientemente deciso stamattina di caricare delle WaveHopper in plastica per salvaguardare le loro in carbonio. Sarebbe stato impossibile percorrere molti tratti senza dare qualche spanciata. 

Entrati in San Pellegrino ultimo grosso ostacolo, breve ma intensissimo. Subito a monte del campo slalom stanno costruendo una passerella, il fiume è stato tutto incanalato in uno strettissimo passaggio in riva destra per costruire una piattaforma di ghiaia utile alle gru.

Tutta la potenza del Brembo si sfoga in questo salto che ribolle di acqua bianca. Ci siamo fermati a lungo a San Pellegrino ad osservarlo ed a discutere se fosse il caso di sbarcare prima o affrontare anche l’ultimissimo tratto. Il responso è stato “tutto a sinistra è fattibile”. Poi è solo un salto, 20 metri di acqua bianca a seguito del quale tutto è più tranquillo (tranquillo per gli standard di un fluviale, di fatto si entra in un campo gara di salom). L’ultima grossa scarica di adrenalina prima di affrontare dei divertenti arzigogolamenti nel campo slalom.

Siamo sbarcati poco prima della diga.

Ci sarebbe da dire qualcosa sul paesaggio, tra i due centri abitati eravamo in una gola di roccia e bosco davvero incantevole in cui il Brembo prende tutte le sfumature dell’azzurro e del verde, ma ci tornerò anche perché ieri ero concentrato su altro e questo aspetto è andato in secondo piano… il punto è il fiume. Ho scoperto il fiume.

Imbarco a San Giovanni Bianco - Ponte dei Frati (anno 1640)

Leggendo libri scritti da canoisti di acqua mossa non ho potuto non notare che loro hanno una sorta di legame spirituale con il fiume. Una cosa che francamente non ho mai capito, la pensavo una roba un po’ hippy. Ma forse oggi l’ho capita.

Il mio primo approccio al fiume è risale al 2017 sul Ticino in kayak da mare; è stato strano, non saprei come altro descrivere quelle due esperienze. Comunque si trattava di un I grado, forse qualche breve passaggino di II.  Poi nel 2020 sono arrivato al CK90 e Felice ha iniziato a portarmi - assieme ad altri - sotto la diga di Olginate, sempre coi kayak da mare. Qualcuno del gruppo iniziale non è più venuto, non trovandosi nella sua dimensione. A me piaceva un sacco ed ho cominciato ad intuire il fatto che il fiume fosse qualcosa di diverso. Sentivo il suo richiamo come il canto di una sirena: il rumore dell’acqua mossa, la corrente che ti porta in giro e ti rigira, il ribollio dell’acqua che senti sotto la canoa… poi, sempre al CK90 con Marco Arlati – allenatore di Canoa Slalom – la frequentazione della diga si è intensificata. Questa volta con kayak da torrente e da slalom. La scorsa stagione è bastato un pomeriggio a San Pellegrino per capire che qui ci sono altri orizzonti da esplorare.

Il fiume mi ha stregato, sentirsi piccolo in mezzo all'acqua turbolenta è un’emozione unica. Scorrerci sopra riuscendo a disegnare le linee che avevi in testa ti fa sentire tutt'uno con l’elemento.

Ho fatto la mia prima discesa di III e ne voglio ancora!



Ma già lo sapevo. Non è un caso se, con la scusa che la mia prima canadese era troppo grossa per essere usata da solo, un giorno mi sono ritrovato da Ozone con una Esquif chiaramente votata all'acqua mossa sul tetto della macchina. La mia scoperta del fiume è stata praticamente coetanea del mio innamoramento verso la canoa canadese. Questi nuovi orizzonti non saranno in direzione di torrenti estremi, ma vorrei proprio ballare su questo tipo di fiume, di medio grado, con la mia bella canadesotta. Per iniziare a conoscere il fiume il kayak è sicuramente la via più facile, ma so dove vorrei che questa nuova strada mi portasse.

Un unico dubbio: non so se con questi tre bagni segnati nel mio curriculum gli agonisti mi inviteranno ancora alle loro uscite…


lunedì 15 aprile 2024

a Numana per l' SK3

Le due sorelle

 La Certificazione Pagaia Azzurra - Sea Kayak di livello 3 era il mio obiettivo per il biennio 2020-21. Il primo freno a questo progetto fu causato dalla pandemia, poi è arrivato Matteo ed anche nel 2022 ho un pochino rallentato. Lo scorso anno però ero pronto, sono arrivato ad ottobre che mi sentivo davvero “sul pezzo”. Non ho trovato purtroppo l’occasione di sostenere l’esame.

Questo inverno poi ho dovuto appendere le pagaie al chiodo per vari motivi; l’arrivo di Federico a febbraio mi aveva infine, definitivamente, convinto a rimandare ulteriormente a tempo indeterminato.

Un paio di settimane fa mi capita di sentire Guido Grugnola, mi riferisce di avere in programma per il 5/7 aprile una sessione di preparazione SK4 a Numana e mi si propone l’occasione per sostenere l’esame di livello 3. Accetto con entusiasmo senza pensarci su, la domenica successiva vado in acqua a Vercurago dopo aver tolto non poca polvere dal kayak.
Mi sento molto ingessato ed iniziano le paranoie: andrò a fare pessime figure. Così il giovedì mattina all’alba mi metto in auto - kayak sul tetto - un po’ demoralizzato. Strada facendo mi fermo a Pesaro in Mastro de Paja dove ho l’occasione di parlare a lungo di un’altra mia passione con un personaggio del settore noto in tutto il mondo e di visitare lo storico laboratorio artigianale mentre sono all'opera. Questa sosta mi aiuta a staccare un po’ la mente e mi fa arrivare a Numana senza troppa ansia da prestazione. I marchigiani poi mi accolgono con calore e pian piano arrivano anche gli altri partecipanti.

Venerdì mattina ci si ritrova in aula dove l’argomento della lezione è leadership e gestione di un gruppo di pari livello (in questo caso 4) in situazioni variabili. Successivamente si passa alle prove di carteggio. Io mi trovo ad eseguire una pianificazione piuttosto semplice e la simulazione di alcuni rilevamenti per fare il punto nave; gli altri hanno in più il compito di calcolare anche lo scarroccio causato dalle correnti.

Dopo le 13 siamo in acqua ed io improvvisamente ripiombo nel mood in cui mi ero ritrovato la settimana precedente. La sensazione è che il kayak non risponda come dovrebbe, la realtà è che il kayaker ha addosso troppi mesi di ruggine.

Comunque il recente cambio all’ora legale ha allungato le giornate e questo ci concede sufficienti ore di esercitazione in acqua. Facendo simulazioni di leadership in passaggi stretti arriviamo fino alle “due sorelle” dove troviamo un po’ di vento.

salvataggi e zatteramenti vari

Nella navigazione di ritorno inizio a sciogliermi un po’, a riprendere pian piano confidenza con il kayak ed il mio corpo inizia a svincolarsi (parte sotto con il kayak, parte sopra con la pagaia).

L’indomani mattina di nuovo in aula, intavoliamo una discussione su alcuni dubbi sorti il giorno precedente durante dei test con rimorchi complessi ad un pagaiatore infortunato. E questo fa da perfetta introduzione coerente con la lezione della giornata: incident management.

Pranzo al volo e poi nuovamente in acqua per gli esercizi. Ci hanno raggiunti anche Felice e Ado per affiancare l’instancabile Guido.

rimorchi e zattere
Domenica mattina è arrivata con il briefing la notizia che ci aspettavamo, anche se tutti fino all’ultimo abbiamo sperato in un improvviso cambio della situazione. Il meteo ci ha offerto tre giorni di acqua piatta e vento assente: non ci sono le condizioni per ritenere valido l’esame. Usciamo comunque per ulteriori esercizi, vogliamo sfruttare fino all’ultimo minuto disponibile questa possibilità di crescita e confronto. Molti, come me e le ragazze di Salerno hanno fatto non pochi km in auto per essere qui.

Mentre eravamo in acqua è arrivato del vento, tra i 10 ed i 15 kts di maestrale, assieme a circa 50 cm di ondina. Ancora non abbastanza per una certificazione di livello 4 ma - evidentemente - i tre Maestri devono averle giudicate sufficienti per un SK3 così, a sorpresa, durante il debrief mi è stato comunicato che per me la Certificazione Pagaia Azzurra - Sea Kayak di livello 3 era raggiunta!

Per gli altri l’esame è solo rimandato… chissà che non sia occasione per ritrovarsi ancora tutti assieme. Siamo stati davvero un bel gruppo!







gli agonisti mi portano in Brembo

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