Oggi la comunità dei kayaker marini italiani perde un suo storico pilastro. Forse IL suo storico pilastro.
Non esagero nel dire che non esiste in questa nazione un canoista marino di buon livello, non solo che non lo conosca, ma che non abbia da raccontare qualche simpatico aneddoto vissuto assieme al mitico "ElleBi".
Anche Gloria ed io dobbiamo tanto a Luciano. Se una sua parente non ce lo avesse presentato probabilmente il nostro curriculum canoistico non sarebbe andato oltre a qualche giretto sui laghetti vicino casa. Se abbiamo cominciato a prendere seriamente il kayak è solo perché mentre eravamo alle prime armi lui ogni tanto passava a trovarmi al lavoro, guardacaso la settimana che precedeva qualche raduno, e diceva "senti un po', cos'è che fate il prossimo weekend? perchè noi saremo sul Garda". Poi sparava cifre palesemente sottostimate sulle distanze dei percorsi previsti, decantandone le bellezze, ed alla fine salutava dicendo "allora vi segno!".
tradizionale aperitivo
Gli amici di Sottocosta lo ricorderanno non solo per il gran quantitativo di eventi organizzati e per il costante impegno nel tenere in piedi l'associazione, ma anche per i suoi riti. Come il saluto, fatto persona per persona con gli auguri di una buona giornata, all'inizio di ogni navigazione; la pausa pranzo che comincia con il suo aperitivo (un Ritz con sopra una fettina di salame ed un ricciolo di maionese) e si conclude con un goccino del suo grappino alla liquirizia. Ed alla fine della pagaiata una calorosa stretta di mano ed i ringraziamenti per la bella giornata trascorsa assieme.
E vogliamo dimenticare gli striscioni, o i discorsi in rima per i grandi eventi? A casa abbiamo una scatola che custodisce quello fatto per il nostro matrimonio, srotolato con discorso e gran cerimoniale pochi giorni dopo all'Isola d'Elba. Davvero un dolce ricordo.
Una persona come non ne fanno più che sicuramente mancherà a tutti.
Settimana scorsa mi è arrivato un messaggio da Alberto Zucchi, mi invitava ad una uscita sul Brembo sabato mattina.
Sono arrivato in sede con largo anticipo per scegliere e preparare kayak ed attrezzatura. La scorsa volta con la Rainbow Zulu non mi ero trovato molto bene; ho perciò preparato una Perception Arc, più lunga e voluminosa.
Alberto però non ha granché apprezzato la scelta… insomma… mi invitava caldamente a portare una Wavehopper.
E’ risaputo che non ho una grande confidenza coi K1 discesa, li avevo usati molte volte ma solo al lago; e non c’è mai stato feeling. Canoe troppo nervose per i miei gusti. L’idea di andarci in acqua mossa non mi entusiasmava, però alla fine ero stato invitato ad un allenamento di discesisti… non mi potevo presentare un’altra volta con un kayak da turismo. Se proprio si fosse rivelata una scelta tragica avrei trasbordato le rapide più impegnative. Alla fine la Perception è tornata sulla rastrelliera.
Come la scorsa volta sia gli Zucchi che Ugo hanno optato per il caricare sia i loro kayak da discesa in composito che le Wavehopper in plastica, decidendo poi cosa usare in base alle condizioni del fiume.
Da San Pellegrino a San Giovanni Bianco ci siamo fermati ad ispezionare alcune rapide.
Alberto
L’idrometro segnava 147cm, effettivamente più acqua della scorsa volta, ma comunque un livello medio-basso. Abbiamo ascoltato Ugo mentre suggeriva traiettorie (per me questo è un grosso problema, ho la memoria di un criceto e puntualmente non mi resta in mente nulla). Guardando il fiume anche gli altri hanno deciso che sarebbero scesi in Wavehopper; troppo il rischio di rovinare i kayak in carbonio contro i sassi.
L’imbarco a San Giovanni Bianco fortunatamente è subito a valle di una diga; questo mi ha aiutato molto perché improvvisamente mi è venuto in mente che, non solo la Wavehopper non mi era mai piaciuta, ma anche che non l’avevo mai usata ad Olginate in diga. Quel tempo speso lì per gli altri era puro riscaldamento; a me è stato utilissimo anche per riprendere un po’ di confidenza con questo tipo di scafo (che tra l’altro non usavo dall’estate scorsa) e saggiarne il comportamento in corrente facendo traghetti, entrate in corrente ed in morta.
Sono rimasto meravigliato, quella sensazione di traballamento nettamente avvertibile in acqua ferma sparisce completamente quando la si fa scivolare in corrente.
Dalle mie parti si dice “Ofelè fa el so mesté !” (il pasticcere fa il suo mestiere, detto dialettale per indicare il fatto che ogni artigiano è bravo a fare il proprio lavoro… ma non quello degli altri). E questo è vero anche per le canoe. E’ un kayak da fiume, se lo usi in acqua piatta non è nel suo ambiente, semplicemente non è stato progettato ed ottimizzato per quello.
Buono il Feeling iniziale alla diga di San Giovanni, mi sono trovato bene anche sulla prima rapidella a raschiera in cui serve un po’ di controllo per schivare i massi affioranti… ma subito si avvicina la rapida della Irma (così si chiama sulle schede di CKFiumi, a quanto pare però è più famosa come “il metanodotto”). La scorsa volta l’ho tentata due volte, e per due volte mi ha buttato giù con una facilità disarmante. Mi sembrava impossibile, non c’era verso di non farmi risucchiare e frullare da questi vortici.
Apriva Ugo, subito dietro Sara, poi scendevo io e chiudeva Alberto.
Una rapida formata da tre buchi, uno di fila all’altro. Avvicinandosi non hai una gran visuale su quello che c’è oltre, lo vedi come una netta riga nera. Sai che quello è il confine tra acque relativamente tranquille ed il putiferio che c’è dopo. Con il ricordo dell’altra volta avevo il cuore a 1000. Si prende fiato mentre si pagaia verso il punto prescelto per l'ingresso in rapida e giù nel primo buco, circondati da spumeggiante acqua bianca che ti schizza in faccia e offusca la vista. Quando pensi di esserne uscito e di poter riprendere fiato vieni inghiottito dal secondo, poi il terzo. Puoi solo pagaiare al massimo ed appoggiarti sull’acqua turbolenta cercando di tenere equilibrio, direzione e dando pancia dalla parte giusta cercando di anticipare ed essere pronto per il prossimo ostacolo.
Ugo
Alla fine di questa giostra liquida entro in morta, colpendo in pieno Sara sul fianco (la precisione in fiume è un’abilità per me ancora mooooooolto lontana). Ho un sorriso da ebete stampato in faccia e vorrei urlare di gioia come se avessi vinto un oro olimpico ma mi trattengo; limitandomi a dire, con tono pacato, “avete visto che stavolta sono rimasto dritto!”.
Poco dopo una rapida molto corta, più che una rapida vera e propria è un singolo passaggio. In sponda destra, a lato del salto, c’è una grande roccia piatta ed inclinata che forma una nicchia che guarda a valle, sotto la quale si forma un potente ritorno che ti spinge proprio lì sotto. Nessun problema nel scenderla. Decidiamo però di fermarci per giocare un po’. Insomma, per farla breve, io ed Alberto abbiamo fatto il bagno. Io sono anche riuscito a rimediare uno strappo ad un polpaccio uscendo. Ho preso la scusa di voler fare qualche foto per fermarmi un attimo a recuperare; per alcuni minuti sentivo un forte dolore appoggiando il piede e per tutta la giornata poi ha continuato a fare male quando era necessario spingere forte sul puntapiedi.
La rapida della Signora era molto sassosa e serviva manovrare parecchio, qualche colpetto di striscio l’ho preso. Una cosa che mi stupisce è il vedere come gli altri riescano a scegliere e percorrere linee pulite con grande disinvoltura, mentre io continuo ad interpretare male l’acqua e spesso a non riuscire a percorrere le traiettorie che ho in testa. Ma il mio percorso di crescita in acqua mossa è appena cominciato, serve pazienza e trovare il modo di fare esperienza con qualcuno di esperto e competente.
La rapida del Sassone ha riportato alti i livelli di preoccupazione, i cm in più rispetto alla volta precedente si facevano vedere in tutta la loro forza. Anche qui però tutto bene.
Iniziavo davvero a prenderci gusto!
Ma dopo la Irma era il ponte stradale quello che più mi preoccupava, la scorsa volta ero quasi terrorizzato avvicinandomi. Questa volta un po’ meno, sono passato con grande imprecisione nelle linee ma comunque restando dignitosamente a testa in su.
A questo punto con il livello attuale le difficoltà finiscono e, fino all’arrivo, si tratta solo di schivare sassi in un tratto di II grado.
Sbarcati a San Pellegrino si è deciso di rifarlo una seconda volta.
Il dato idrometrico nel frattempo era calato a 143cm; per cui si è optato per una discesa veloce onde evitare di vedere il livello diminuire ulteriormente e dover fare ancora più attenzione ai sassi.
Va tutto bene, nessun bagno. Io sono stanco ma abbastanza a mio agio al punto che, in uscita dalla signora, mi concedo addirittura un ingresso in morta con un aggressivo aggancio al posto del solito tranquillo appoggio. Sono riuscito ad avere all’ultimo saltino tutto come volevo: angolo, velocità, pancia e posizione della pagaia attiva. Ho quindi voluto osare un bell’aggancio. Con grande soddisfazione, l’unico ingresso in morta che mi ha portato esattamente nel punto che avevo visualizzato come target. Nessuno lo sa, ma mi sono dato una immaginaria pacca sulla spalla da solo dicendomi “Bravo Marco, ben fatto!”.
Comunque la differenza tra me ed i miei compagni di discesa era evidente non solo nelle rapide ma anche sui tratti tranquilli dove loro vanno davvero forte e non riesco proprio a stargli dietro. Dopo il ponte della SP26 era davvero molto sassoso; probabilmente il fiume ha perso ancora qualche cm di livello e questo, unito alla stanchezza, mi porta a colpire qualche sasso. All'ingresso di San Pellegrino io sono davvero stravolto, prendo di striscio ancora qualche sasso che proprio non riesco ad evitare e, mentre Ugo rimane a giocare un po’ sull’ultimo spot del campo slalom, io mi lascio dolcemente scivolare in appoggio basso allo sbarco.
Stanco ma felice, ringrazio il Brembo per avermi concesso due discese davvero emozionanti ed avermi insegnato a cosa servono i kayak da discesa.
Un grosso grazie va anche ai discesisti del CK90 che mi hanno ancora una volta invitato ad una loro fantastica sessione di allenamento fuori casa. Mi piacerebbe frequentare più spesso questo fiume, ad un'oretta di strada dalla sede del CK90 abbiamo un fiume bellissimo, dall'acqua pulita e fredda anche in estate. Torniamoci più spesso!
L'incontro sui laghi di Idro e Ledro è ormai diventato un appuntamento consolidato nel calendario di Sottocosta.
Un bel fine settimana a godere della fresca aria del Trentino giusto un paio di settimane dopo esser stati in qualche caldissima località per il Sottocosta Kayak Camp.
Quest'anno sono andato con la famiglia al completo. Ovviamente non potevo pensare di abbandonare Gloria in spiaggia con i due bambini, per cui non abbiamo preso parte ufficialmente all'evento ma eravamo presenti giusto per la compagnia.
Però il richiamo dell'acqua è forte... ed ho pensato che abbandonare in spiaggia Gloria con solo uno dei due bimbi forse si poteva fare. Perfetto; Federico sarebbe stato con la mamma mentre io e Matteo ci saremmo goduti qualche simpatico giretto in canoa canadese! Certo, presentarsi ad un raduno di kayak da mare in canadese è coerente come andare ad un track day per supercar con un autoarticolato. Motivo per cui non abbiamo neanche fatto l'iscrizione all'evento, ma solo prenotato per cena; il vero cuore del raduno.
Siamo arrivati a Ledro con la nostra bellissima Swift sul tetto. Questa canoa è con noi ormai da due anni ed è stato il suo primo viaggio fuori dalle acque di casa da quando sono andato a ritirarla in Carinzia. Una nota simpatica è stata il giorno prima della partenza; vado a fare rifornimento con la macchina già carica ed al distributore si ferma un tizio, ex canoista, appositamente per guardarla da vicino. Mi racconta della sua vecchia Old Town, poi mi stringe la mano dicendomi "complimenti, è raro in Italia vedere una barca così bella!". Qualche intenditore dalle mie parti c'è; decenni fa sul Lago di Pusiano vi era una scuola di canoa canadese (si chiamava "il canneto") che ha avuto anche l'onore di ospitare Backy Mason.
Appena arrivati a Ledro una grande sorpresa: Caterina e Marco si sono presentati con un mega regalo per Matteo! Una pagaia per canadese a coda di lontra personalizzata con il nome sull'oliva e disegni di medusa e cavalluccio marino sulla pala. E' stato il primo regalo ricevuto da Matteo per il suo 3° compleanno, festeggiato la settimana successiva. Chi conosce la storia di questo raduno, e del suo nome, ha ipotizzato che in futuro questo evento sarà forse da rinominare in "attenti a quei 3".
La parte meno bella della giornata è stata il meteo: il cielo era scuro e soffiava un bel vento. Nulla di preoccupante in kayak da mare... ma per una canadese da 17'6" dal bordo libero abbondante non è il massimo, specie se condotta da solo.
Così, mentre gli altri partivano per il periplo del lago, noi siamo rimasti in zona spiaggia. Ci siamo avvicinati alla cascata (artificiale) formata dal torrente Massangla proprio dove si getta nel lago; qui abbiamo ripescato una palla alla deriva e poi siamo subito sbarcati per giocare un po' nell'acqua. Matteo è rimasto a lungo a mollo nonostante il lago freddino ed il vento. Ecco, se c'è un talento innato in questo bambino è proprio quello di scovare ogni minima opportunità per prendere un bel raffreddore!
La sera cena a base di pesce di lago a Baitoni. Ricordo due anni fà, Matteo aveva appena un anno e mangiò un gran quantitativo di pasta con il persico e filetto di salmerino. Quest'anno solo pasta in bianco.
Non è mancata la torta per gli 87 anni di Luciano a fine serata.
Per la notte siamo stati da Giorgio ed Ines.
Per sdebitarsi dell'ospitalità Matteo si è esibito in un gran concerto di tosse durato dal tramonto all' alba.
L'indomani mattina ritrovo sulla spiaggia di Baitoni, meteo perfetto previsto fino a mezzogiorno. Tradizionale temporale pomeridiano annunciato dopo pranzo. La nostra idea è comunque quella di mangiare al locale e poi partire subito. Scelta dell' orario azzeccatissima in quanto sono riuscito a dover caricare la canoa sotto al diluvio universale e ad onorare, anche quest'anno, un'altra tradizione di questo raduno: ovvero l'oretta fermo in coda per incidente sulla provinciale che percorre la Valsabbia. Tutti gli anni la stessa storia; non c'è modo di evitarlo.
Ragazzi io ve lo dico, l'anno prossimo o mi portate in elicottero, o io non vengo.
Comunque in acqua siamo stati al seguito del gruppo per il primo tratto della navigazione all'interno del biotopo del lago d'Idro e risalendo la foce del Chiese fino allo stramazzo sotto al ponte pedonale. Le abbondanti piogge degli ultimi periodi hanno assicurato una discreta correntina con una bella vena d'acqua che correva veloce proprio al centro del canale e due tranquille e molto ampie morte ai lati; abbiamo approfittato per fare un paio di traghetti. Qui abbiamo salutato il gruppo di kayaker; loro proseguivano mentre noi siamo rientrati per fare un po' di vita da spiaggia.
Andiamo?
Per Matteo è stato un evento importante: la prima volta in canoa fuori dal lago di Garlate. La cornice è stata fantastica; con acqua pulita, una bella compagnia ed un meteo tutto sommato buono. In Trentino ci sono dei laghetti troppo piccoli per il kayak da mare in cui mi piacerebbe pagaiare con la canadese; quest'anno -tra l'altro- di acqua ne abbiamo in abbondanza per cui sarebbe stata la stagione giusta. Mi viene in mente che Marco e Caterina vanno anche in canadese, e un paio di altri amici al CK90 potrebbero aggregarsi con piacere... Chissà che questo raduno non possa per un anno diventare multidisciplina.
La canadese, tra i suoi pregi, ha quello di costringere il canoista ad affinare alcune tecniche... Anche il più irriducibile dei lupi di mare ne trarrebbe un grande vantaggio.
Mi trovo davvero in difficoltà nello scrivere questo articolo. Non perché manchino le idee sui contenuti, ma perché le cose da dire sarebbero davvero tante, troppe.
Già di per sé il Camp è sempre qualcosa di eccezionale, quest’anno abbiamo voluto fare qualcosa di più. Molto di più. Organizzarlo è stato faticoso; se per i partecipanti tutto è iniziato il 15 giugno, per chi ci lavorava più o meno è iniziato alla fine dell’anno scorso.
Verso aprile è arrivata l’ansia; cominciavo a pensare che forse avevamo fatto il passo più lungo della gamba. Quando si sono aperte le iscrizioni poi è partito l'effetto valanga: solitamente i partecipanti erano attorno al centinaio, quota che abbiamo raggiunto in circa una settimana. Ormai il Camp non era più un progetto ma qualcosa di concreto ed imminente.
Iscrizioni chiuse a fine maggio superati di poco i 170 iscritti.
A marzo sono iniziate anche le riunioni coi tecnici. Con Roberta, referente nazionale degli istruttori, ci si sentiva quotidianamente mentre altri del direttivo si interfacciavano in continuazioni con Enrico ed Emanuela di FlyMaratea, i nostri agganci sul territorio.
Alla serata di apertura ero davvero emozionato, ormai c’eravamo e non potevamo far altro se non mettere in atto i piani e vedere se questi lunghi mesi di lavoro avrebbero portato al risultato sperato.
Come è andata alla fine conviene però lo chiediate a qualcun altro. Non sarei obiettivo. Io posso dire che - considerando questo primo anno di un nuovo format come un test- sono soddisfatto, anche se abbiamo lunghe paginate di appunti piene di cose su cui aggiustare il tiro per il prossimo anno.
Le novità sono state principalmente nel campo delle relazioni esterne. Abbiamo avuto in apertura ospiti del comune. Poi una serata culturale con un geologo del CAI ad illustrare le caratteristiche del territorio, esperti di Legambiente per la fauna marina, la ProLoco e l’assessore alla cultura per storia e tradizioni.
Si è iniziato a dare un po' di corpo ed importanza ai workshop a terra, non più relegati al solo ruolo di "piano B" in caso di maltemo. Altra novità era la presenza ufficiale di alcuni costruttori che - sebbene non avessero stand fisici - hanno messo a disposizione kayak e pagaie da provare.
Altro grande passo: per la prima volta Sottocosta ha presentato il kayak da mare al pubblico in un evento denominato “kayak fest” al porto di Maratea con dimostrazioni, intervento del comandante della Capitaneria di Porto, del Sindaco, di rappresentanti della Regione Basilicata e degli sponsor. Poi Guido Grugnola a parlare del suo giro d’Italia in kayak, Luciano Belloni e Gaudenzio Coltelli per la storia di Sottocosta e di questa disciplina in Italia. La chiusura della serata è andata a Giacomo della Gatta, kayaker che vanta uno dei curriculum più importanti in Italia, con un pensiero che racchiude l’essenza del nostro navigare in mare.
Oltre a tutto questo, ovviamente, c’era anche il “solito” camp con navigazioni, uscite didattiche, incontri dei tecnici e gli immancabili momenti di convivialità.
Personalmente posso dire che è stato sfiancante, ho passato più tempo al PC o al telefono che in canoa. Abbiamo creato apposta per il Camp un sito che era da aggiornare quotidianamente con foto ed articoli, pubblicare qualcosa anche su FaceBook ed Instagram, mandare i piani di navigazione alla Guardia Costiera la mattina e le conferme di rientro al pomeriggio.
Ho però voluto, come sempre, cercare di approfittare il più possibile della presenza di tecnici che per questione di distanza purtroppo vedo raramente. Mi sono affiancato a molte attività in acqua talvolta attivamente, altre volte meno.
Arrivato a giovedì mi sono però accorto che ero stato due volte verso Sud all’Isola di Dino ed avevo fatto qualche uscita puramente didattica di fronte al campeggio; mi rimaneva solo un’ultima possibilità di navigare nello splendido tratto di costa tra Castrocucco e Maratea.
Per fortuna ci sono riuscito l’indomani, mentre molti erano impegnati nell’esame Pagaia Azzurra.
Al Pilates sono stato presente solo due volte, per il corpo grande dolore e sofferenza, ma per la mente un’oretta di pace.
Ora che il Sottocosta Kayak Camp 2024 è finito si è già aperto il cantiere per Sottocosta Kayak Camp 2025. Chissà come sarà, chissà dove sarà.
Spero solo di non partecipare da solo, come quest’anno, ma di poter portare Gloria ed i bimbi.
L’aver superato l’esame Pagaia Azzurra - SK3 lo scorso mese mi ha sbloccato una serie di possibilità d'accesso alla disciplina del kayak da mare praticata ad un certo livello.
Così, quando ho visto pubblicato il bando di iscrizione al corso ISKGA - Coastal Planning & Navigation Module tenuto presso Santa Teresa a Lerici, la voglia mi è venuta.
Ora, sebbene ancora adesso non abbia ben capito come sia strutturata la formazione ISKGA (International Sea Kayak Guide Alliance), ho colto al volo l’occasione che si presentava golosa per alcuni motivi: 1- l’argomento di questo modulo mi appassiona molto ed interessa; 2- Santa Teresa: amo quel posto e ne sentivo la mancanza; 3- un corso con Guido Grugnola è sempre un corso con Guido Grugnola, torneresti a casa arricchito anche se l’argomento trattato fosse “come accendere la luce dell’aula corsi alla Scuola di Mare” (che detto così sembrerà anche semplice… ma voi avete mai provato a cercare dove diamine hanno nascosto quei dannati pulsanti?); 4- pur non avendo ben chiaro il funzionamento dell’ ISKGA, mi solleticava l’idea di mettere il naso in un percorso formativo ai massimi livelli di respiro internazionale, una sfida interessante.
Detto fatto, si parte per il Golfo dei Poeti. Il corso è strutturato in due giorni. Il primo in aula ed il secondo…anche. Ma allora quando si va in kayak? Di notte. Ovvio!
imbarco dopo il tramonto
In tutto eravamo 3 partecipanti, questi corsi ne prevedono un massimo di 4. Ho ritrovato Sergio, che ha fatto praticamente tutti i moduli, ed ho conosciuto Andrea di Vicenza il quale passa all’incirca metà anno a casa sua, sul Brenta, a fare la guida in raft e l’altra metà dell’anno - sempre a fare da guida - ma in Groenlandia. Ha raccontato di esperienze pazzesche pagaiando tra gli iceberg e lungo i ghiacciai rimasti. Ovviamente anche lui molto avanti nel percorso formativo.
Il primo giorno è stato davvero impegnativo con una filata incredibile di ore in aula a parlare di pianificazione, carteggio, calcoli di marea e relative correnti. Si toccano anche argomenti laterali ma comunque fondamentali quali il segnalamento marino, oceanografia e procedure VHF.
Guido ha usato questa occasione per un piccolo esperimento: ha inserito una parte dedicata alla navigazione astronomica. Una cosa davvero molto basilare, guardando le costellazioni principali con l’idea non certo di fare il punto, ma di riconoscere e trovare un allineamento utile da seguire per continuare a pagaiare nella notte senza dover ogni pochi minuti accendere la luce, controllare la bussola e spegnere la luce perdendo abbrivio. Devo essere sincero: questa cosa delle stelle mi aveva lasciato un po’ scettico sia la sera precedente, quando mi era stato anticipato, che durante la lezione.
Poi quantitativi di esercizi su varie carte nautiche: rotte, distanze, correzioni di declinazione, compensazioni di deriva, rilievi, ricerca di allineamenti, valutazioni di varie ipotesi di percorso guardando correnti, batimetriche e segnali. Si è lavorato dapprima con tutti gli strumenti da carteggio nautico, poi con un’attrezzatura sempre più minimale fino ad arrivare all’uso della sola bussola cartografica e relativo cordino.
In questa parte al tavolo da carteggio devo dire di essermela cavata molto bene; avere fatto un istituto tecnico aeronautico ed il brevetto di pilota privato di aeroplano mi ha aiutato davvero moltissimo. Erano tutte cose che fino alla maturità masticavo ad occhi chiusi, ed il mio cervello non ha fatto la minima fatica a rispolverare queste competenze. Tutto merito dell' insegnante di navigazione, era semplicemente un mito: l’ing. Hani.
Non mi viene in mente nessun altro professore che abbia lasciato in tutti i suoi allievi solo ricordi positivi. Tutti lo amavano e ne avevano grande rispetto ed ammirazione per i suoi metodi decisamente non convenzionali. Ricordo addirittura che noi studenti dell’aeronautico ci facevamo chiamare “i discepoli di Hani”. Due anni fa l’ing. è “volato più in alto” e mi ha fa davvero piacere poter sfruttare, anche se in un altro ambito, ciò che mi ha insegnato. Il migliore dei modi per tenere vivo il ricordo di un Grande Uomo ed un ottimo insegnante.
Ultimo esercizio della giornata: ognuno avrebbe dovuto fare la pianificazione per la navigazione di quella notte, come se dovesse guidare il gruppo per l’intera durata. Alla fine ci siamo confrontati ed - assieme - abbiamo tracciato le rotte definitive facendo un merge raccogliendo le idee migliori di tutti. Prima di mangiare avevamo già preparato e consegnato alla Scuola di Mare il piano di navigazione e compilate le varie copie del piano di navigazione notturna che ogni kayaker deve tenere in coperta.
Mentre ripassavamo le procedure night navigation la cena era pronta, poi meritata pausa in attesa del buio.
Navigazione suddivisa in 8 tratte, io ho guidato in 3: due cortissime ed una più lunga.
Alla prima ho fatto proprio una pessima figura: un banale attraversamento da fanale a fanale davvero cortissimo (0,25nm). Una cosa tranquillissima: dobbiamo andare da qui a li. Linea di fronte, nessun traffico in arrivo, prua alla base della luce e si parte. Ci abbiamo messo addirittura meno dei 5’ pianificati perché viaggiamo sopra ai 3kts prefissati. Una tratta così banale che nemmeno mi è venuto in mente di guardare la bussola. La marea era in diminuzione ed il Golfo dei Poeti si svuotava creando in questa strettoia della corrente, troppo poca per essere percepibile ma sufficiente perché all’arrivo la nostra bussola fosse modificata di quasi 10°. Non ho navigato, ho tenuto la prua inchiodata sul fanale e, di conseguenza, non mi sono nemmeno accorto che qualcosa ci portava in fuori.
Come partenza non proprio il massimo.
La tratta successiva verso un segnale speciale galleggiante non illuminato in direzione del mare aperto, fatta la prua con la bussola Guido ci ha indicato una stella (purtroppo non ricordo né il suo nome né la costellazione a cui appartiene) che combaciava con la nostra rotta. Ironia della sorte il primo tentativo con questa cosa delle stelle era toccato proprio a me che la ritenevo un po’ una boiata.
E’ stato un tratto breve, ma navigare nel silenzio della notte seguendo una stella mi ha emozionato. Stai conducendo il tuo kayak in mare ma sei allineato con il cielo. Seguendo l'astro a circa ad un minuto dallo stimato ho individuato la silhouette della meda un po’ spostata a sinistra. Obiettivo raggiunto, guardando per aria. Fantastico!
L’ultima tratta che ho guidato è stata la più lunga delle tre, sempre verso il mare, alla ricerca di un punto segnato a matita sulla carta. Pura navigazione stimata. Si imposta la prua che - fortuna vuole- combaciava con le lucine di una nave ancorata a qualche miglio di distanza.
Ogni 4-5’ accendevo la lampada frontale rossa per verificare che, sempre puntando quelle luci, la rotta bussola non cambiasse. Non è successo, quindi non eravamo soggetti né a deriva né a scarroccio; non serviva compensare ma sicuramente rallentare un pochino. Ci siamo concessi una breve pausa dato che, nelle tratte precedenti, avevamo appurato di viaggiare sopra i 3 kts ed in più avevamo un leggero vento in poppa.
rilevamenti riportati sulla carta in navigazione
Percorsi i 20’ pianificati abbiamo fatto dei rilievi per capire se fossimo in target sfruttando il faro del Tino ed il fanale verde della bocca del porto. Eravamo in rotta ma ci mancava ancora un pochino. Abbiamo proseguito fino ad aggiustare il rilievo del Tino.
Raggiunto questo punto in mezzo al nulla la guida è passata ad Andrea per raggiungere il fanale verde di Lerici. Questo segnale non era visibile dalla nostra posizione così, nuovamente, dopo aver messo la prua con la bussola abbiamo prima guardato le stelle, poi degli allineamenti di edifici illuminati sulla costa.
Da Lerici a Santa Teresa rientro costeggiando; in un tratto di scogliera particolarmente buio la turbolenza creata dalle pagaie eccitava il plancton che si accendeva di bioluminescenza. La pala lasciava dietro di se una scia bianca piena di puntini luccicanti che risaltava sul mare perfettamente piatto e nero. Troppo debole per impressionare questa luce su foto o video, uno di quei ricordi che rimarranno solo nella memoria di chi c'era.
Pensavamo di fare una notturna che avesse solo aspetti prettamente tecnici e didattici; invece abbiamo anche inseguito le stelle e siamo scivolati su un tappeto fluido luminescente. Che navigazione magica!
L’indomani ancora in aula per un dettagliato debriefing della notturna ed altri aspetti teorici, principalmente cenni di meteorologia. Il corso si è concluso a metà pomeriggio.
Due giorni davvero intensi, da cui ho tratto grande soddisfazione. Sono stati resi evidenti alcuni miei limiti su cui lavorare: la percezione delle distanze in mare e velocità di crociera, la necessità di allenare l’occhio alla continua ricerca di allineamenti e l’utilità di sfruttare la bussola sempre, anche nelle navigazioni più banali per essere in ogni momento cosciente dell'essere o meno soggetto a deriva e/o scarroccio. Ho poi ricevuto conferma che di meteorologia non ricordo praticamente niente.
castello di Lerici
Insomma, ho imparato un sacco di cose e sono tornato a casa con delle abilità da sviluppare anche nelle pagaiate più semplici e rilassanti fuori dalla sede del CK90.
Non ho però soddisfatto il punto 4 dei motivi che mi avevano spinto ad iscrivermi a questo corso. Non so se il percorso ISKGA sia alla mia portata proprio perché la mia pregressa preparazione aeronautica mi ha facilitato non poco in questo particolare modulo incentrato sulla navigazione. Ma sono sicurò troverò occasione di soddisfare questa curiosità in un altro modulo più prettamente canoistico o marinaresco.
Ieri ho scoperto un altro modo di andare in canoa, quello del fiume.
Prendete un kayaker marino, anche mediamente capace, e buttatelo in acqua bianca. Probabilmente sarà per lui un’esperienza divertente… ma allo stesso tempo sicuramente anche frustrante perché tutta la sua abilità tecnica, che nelle sue acque basta a fare quel che vuole anche tra onde e vento, qui sembra non bastare per arrivare al risultato. Insomma, sei bravino nei tuoi bananoni da 5 metri e mezzo. Ma affrontare le rapide in questi gusci di noce è tutta un’altra cosa.
il mio "guscio di noce"
Guardare i colleghi fluviali è fantastico: sembrano danzare nella corrente senza litigarci, scivolare sui ritorni come su un tappeto volante ed aver sempre pronto il colpo giusto, al momento giusto e con gli angoli giusti.
Anche la scorsa estate al campo slalom di San Pellegrino era andata più o meno così, in quell'occasione però non ho avuto un netto approccio alla mentalità fluviale, non si è fatta una discesa vera e propria ma qualche oretta di allenamento su e giù per un campo gara, per giunta in contesto cittadino. Praticamente come quando si va sotto la diga di Olginate a giocare, solo con un grado di difficoltà tecnica in più. Quel che comunque già era balzato all'occhio è che se ho ancora da imparare tanto in kayak da mare…in fiume praticamente è come partire quasi da zero.
Ieri sono stato invitato dagli agonisti del K1 discesa a passare una mezza giornata sul Brembo. Mi ero ripromesso di approfondire le dinamiche fluviali ma trovo difficile trovare occasione di andare oltre al breve tratto di acqua mossa a valle della diga di Olginate, quindi come non accettare!
Noto subito che ci sono delle dinamiche molto differenti rispetto al kayak da mare. Oggi le ho giusto intraviste dato che Ugo, istruttore agonista di acqua mossa, conosce bene questo tratto di fiume e non vi è mai stata occasione - ad esempio- di valutare ed allestire delle sicure da terra con le sacche da lancio. Si è comunque fatto un approfondito scout mentre raggiungevamo il punto d’imbarco con il furgone: ci si accosta e si sfruttano i ponti o i sentieri nel bosco che raggiungono il fiume per studiarne le rapide. Si sta fermi tutti quanti a guardare l’acqua, a capire se si fa o si trasborda, a far notare i pericoli, a discutere le linee, a scegliere una morta in cui il primo si ferma a fare sicurezza. Insomma - sebbene l'approccio sia stato spiccatamente agonistico e non esplorativo - la differenza di relazione con l'ambiente rispetto al mio mondo si è vista.
In cambio di tutte queste attenzioni, necessarie per discenderlo (si spera) senza farsi male, il fiume regala un cocktail di emozioni che per un marino sono piuttosto rare. Un mix di paura-eccitazione che mi è capitato di trovare solo le rare volte in cui in acqua salata ho trovato condizioni di surf per i miei standard impegnative. La differenza è che in mare dura al massimo una manciata di secondi: da quando ti agganci al frangente fino a quando arrivi in spiaggia in appoggio; poi seguono minuti di pagaiate verso il largo e l’attesa di una nuova onda giusta per salire nuovamente su questa breve giostra. In fiume invece dura minuti interi, forse ore; finché sei dentro sei dentro… l’acqua è turbolenta e cambia direzione, velocità e colore ad ogni metro, ad ogni centimetro. Ed anche quando sei fermo a studiare la prossima rapida da affrontare l’adrenalina non ti lascia. Stai li a fissare l’acqua che scorre, pensando con gli altri a cosa fare. Vado centrale per evitare un buco, poi devo tagliare subito a sinistra per schivare un sasso. E se non ce la faccio? Se mi ribalto dopo quel saltino devi fare il roll subito altrimenti rischi di finire su quel masso. E se non mi riesce? In mare fino ad ora non ne ho mai mancato uno neanche in surf di roll… ma sotto la diga ho fatto tanti bagni. Se vado a bagno qui? Stare a bagno con la corrente che ti spinge verso la prossima rapida non è certamente piacevole. Riuscirò a raggiungere la riva prima della prossima rapida?
Ieri ne ho fatti 3 di bagni. Di cui due sulla prima rapida di III grado che si incontra; si chiama “la Irma”.
La prima volta sono finito in acqua ancor prima di entrarci, l’ho fatta tutta a nuoto e in quei muri di acqua bianca e turbolenta non è nemmeno facile tenere la posizione di sicurezza. L'ho voluta riprovare e la seconda volta sono uscito dal primo buco in posizione sbagliata e non sono riuscito a riposizionarmi e mettere la pagaia in appoggio prima di essere inghiottito dal buco centrale, il più grosso. L’acqua è arrivata sopra la coperta della Rainbow Zulu e mi ha girato sottosopra. Non sono nemmeno riuscito a guadagnare la posizione iniziale per tentare di fare un roll; sentivo l’acqua che mi tirava la pagaia verso il basso, allora l’ho tenuta con una sola mano ed ho stappato. Gli altri l’hanno rifatta due o tre volte, io ho deciso di non insistere. Nuotare in acqua mossa è sfiancante e la discesa è appena iniziata. Da terra ho fatto un video agli Zucchi mentre la rifacevano per la terza volta ed una foto ad Ugo mentre è completamente dentro al buco; per una frazione di secondo sembrava essere sparito... ma poi il musone del suo kayak è riemerso dalla schiuma bianca puntando il cielo. Che spettacolo!
Ugo inghiottito dal buco centrale della Irma
Alla rapida successiva son finito ancora sottosopra, ma ero ormai alla fine del tratto più turbolento per cui in un paio di secondi di apnea ho raggiunto acqua tranquilla ed ho tirato un roll un po’ scomposto. Un po’ tanto scomposto. Un po' troppo scomposto.
Ho fatto un’altro bagno, non ricordo dove. Mi sono messo in posizione per il roll ma ho sentito due colpi sulla schiena: era un tratto pieno di sassoni appena sotto il pelo dell’acqua e mi è venuta paura di essere colpito in faccia o al torace; la paura di sbagliare il roll e prolungare questa situazione di estrema vulnerabilità mi ha portato a stappare ed uscire dal kayak, posizionando le gambe a valle. Sara mi ha aiutato a raggiungere la riva esterna all’ansa, rocciosa e verticale, spingendo il mio kayak allagato. Non c’era tempo per raggiungere la spiaggetta al lato opposto, la rapida successiva si avvicinava pericolosamente. Aggrappato alla roccia ho con gran fatica svuotato il kayak e mi sono reimbarcato.
Fortunatamente la rapida successiva era una tranquilla raschiera in cui ci si poteva rilassare a fare lo slalom per schivare i sassi, mi è servita molto per prendere fiato, raccogliere le energie e fare pace con il fiume.
Anche qui si è vista la differenza tra il mio approccio alla canoa e quello dei miei compagni di discesa: loro cercavano la linea più veloce per superare questa serie di ostacoli, io ci avrei messo mezz'ora per percorrere quei 50m giocando ad entrare ed uscire dalle morte dietro ad ogni sasso affiorante.
Le due rapide più famose di questo tratto di Brembo, ovvero “la Signora” ed “il massone” invece le ho passate discretamente bene… che per i miei standard attuali significa rimanendo verticale. Durante lo scouting abbiamo visto passare due raft, non l'ho mai provato ma il kayak è sicuramente mille volte più divertente.
Il passaggio sotto al ponte della SP26 mi preoccupava un po’. Mentre salivamo a San Giovanni Bianco ci siamo fermati a lungo a studiarlo, e devo dire a ragione. La vista che sia aveva dal kayak gli ultimi 20-30 metri prima del salto che sta sotto l’arcata sinistra mi ha quasi terrorizzato. Però devo dire che è stato più adrenalinico e spettacolare degli spot precedenti ma meno insidioso: ho osservato gli altri tre passare con eleganza e sono partito fermamente intenzionato a seguire le loro linee. Uno scivolo d’acqua scura e velocissima in mezzo a turbinii di schiuma bianca, un richiamo rapido a sinistra seguito da una spinta energica per schivare un grosso masso semisommerso e poi un appoggio basso – con una pancia ben pronunciata- a destra per evitare di sfracellarsi contro i sassi che stanno a riva ed entrare in morta: si prende fiato e si guarda da sotto questo scenografico passaggio pensando esultante: “ce l’ho fatta!”.
Ho picchiettato il palmo della mano sull'acqua per ringraziare il Brembo di avermi concesso l'onore di passare a testa in su queste tre maestose rapide.
Credo inoltre di aver anche capito quale sia la chiave per domare la Zulu: pance pronunciate ed evitare di prendere i buchi di punta. Se l’acqua sale sopra la coperta tu ti ritrovi a testa in giù.
Da qui in poi c’è stato un lungo tratto di fiume con una pendenza leggera ma costante. Con questo livello d’acqua, il minimo necessario per poter scendere, è tutto un manovrare per schivare sassi e cercare delle linee di acqua profonda a sufficienza per far passare il kayak ed immergere la pagaia.
Non a caso sia Ugo che Sara ed Alberto, dopo aver visto che l’idrometro segnava 113cm, hanno sapientemente deciso stamattina di caricare delle WaveHopper in plastica per salvaguardare le loro in carbonio. Sarebbe stato impossibile percorrere molti tratti senza dare qualche spanciata.
Entrati in San Pellegrino ultimo grosso ostacolo, breve ma intensissimo. Subito a monte del campo slalom stanno costruendo una passerella, il fiume è stato tutto incanalato in uno strettissimo passaggio in riva destra per costruire una piattaforma di ghiaia utile alle gru.
Tutta la potenza del Brembo si sfoga in questo salto che ribolle di furiosa acqua bianca. Ci siamo fermati a lungo a San Pellegrino ad osservarlo ed a discutere se fosse il caso di sbarcare prima o affrontare anche l’ultimissimo tratto. Il responso è stato “tutto a sinistra è fattibile”. Poi è solo un singolo salto, 20 metri di lunghezza in acqua bianca a seguito del quale tutto è più tranquillo (tranquillo per gli standard di un fluviale, di fatto si entra in un campo gara di salom). L’ultima grossa scarica di adrenalina prima di affrontare dei divertenti arzigogolamenti nel campo slalom.
Siamo sbarcati poco prima della diga.
Ci sarebbe da dire qualcosa anche sul paesaggio, tra i due centri abitati eravamo in una gola di roccia e bosco davvero incantevole in cui il Brembo prende tutte le sfumature dell’azzurro e del verde, ma ci tornerò anche perché ieri ero concentrato su altro e questo aspetto è caduto in secondo piano… il punto ieri è stato il fiume. Ho scoperto il fiume.
Imbarco a San Giovanni Bianco - Ponte dei Frati (anno 1640)
Leggendo libri scritti da canoisti di acqua mossa non ho potuto non notare che loro hanno una sorta di legame spirituale con il fiume. Una cosa che francamente non ho mai capito, la pensavo una roba un po’ hippy. Ma forse oggi l’ho capita.
Il mio primo approccio al fiume risale al 2017 sul Ticino in kayak da mare; è stato strano, non saprei come altro descrivere quelle due esperienze. Comunque si trattava di un I grado, forse qualche breve passaggino di II. Poi nel 2020 sono arrivato al CK90 e Felice ha iniziato a portarmi - assieme ad altri - sotto la diga di Olginate, sempre coi kayak da mare. Qualcuno del gruppo iniziale non è più venuto, non trovandosi nella sua dimensione. A me piaceva un sacco ed ho cominciato ad intuire il fatto che il fiume fosse qualcosa di diverso. Sentivo il suo richiamo come il canto di una sirena: il rumore dell’acqua mossa, la corrente che ti porta in giro e ti rigira, il ribollio che senti sotto la canoa… poi, sempre al CK90 con Marco Arlati – allenatore di Canoa Slalom – la frequentazione della diga si è intensificata. Questa volta con kayak da torrente e da slalom. La scorsa stagione è bastato un pomeriggio a San Pellegrino per capire che qui ci sono altri orizzonti da esplorare.
Il fiume mi ha stregato, sentirsi piccolo in mezzo all'acqua turbolenta è un’emozione unica. Scorrerci sopra riuscendo a disegnare le linee che avevi in testa ti fa sentire tutt'uno con l’elemento.
Ho fatto la mia prima discesa di III e ne voglio ancora!
Ma già lo sapevo. Non è un caso se, con la scusa che la mia prima canadese era troppo grossa per essere usata da solo, un giorno mi sono ritrovato da Ozone con una Esquif chiaramente votata all'acqua mossa sul tetto della macchina. La mia scoperta del fiume è stata praticamente coetanea del mio innamoramento verso la canoa canadese. Questi nuovi orizzonti non saranno in direzione di torrenti estremi, ma vorrei proprio ballare su questo tipo di fiume, di medio grado, con la mia bella canadesotta. Per iniziare a conoscere il fiume il kayak è sicuramente la via più facile, ma so dove vorrei che questa nuova strada mi portasse.
Un unico dubbio: non so se con questi tre bagni segnati nel mio curriculum gli agonisti mi inviteranno ancora alle loro uscite…
La Certificazione Pagaia Azzurra - Sea Kayak di livello 3 era il mio obiettivo per il biennio 2020-21. Il primo freno a questo progetto fu causato dalla pandemia, poi è arrivato Matteo ed anche nel 2022 ho un pochino rallentato. Lo scorso anno però ero pronto, sono arrivato ad ottobre che mi sentivo davvero “sul pezzo”. Non ho trovato purtroppo l’occasione di sostenere l’esame.
Questo inverno poi ho dovuto appendere le pagaie al chiodo per vari motivi; l’arrivo di Federico a febbraio mi aveva infine, definitivamente, convinto a rimandare ulteriormente a tempo indeterminato.
Un paio di settimane fa mi capita di sentire Guido Grugnola, mi riferisce di avere in programma per il 5/7 aprile una sessione di preparazione SK4 a Numana e mi si propone l’occasione per sostenere l’esame di livello 3. Accetto con entusiasmo senza pensarci su, la domenica successiva vado in acqua a Vercurago dopo aver tolto non poca polvere dal kayak. Mi sento molto ingessato ed iniziano le paranoie: andrò a fare pessime figure. Così il giovedì mattina all’alba mi metto in auto - kayak sul tetto - un po’ demoralizzato. Strada facendo mi fermo a Pesaro in Mastro de Paja dove ho l’occasione di parlare a lungo di un’altra mia passione con un personaggio del settore noto in tutto il mondo e di visitare lo storico laboratorio artigianale mentre sono all'opera. Questa sosta mi aiuta a staccare un po’ la mente e mi fa arrivare a Numana senza troppa ansia da prestazione. I marchigiani poi mi accolgono con calore e pian piano arrivano anche gli altri partecipanti.
Venerdì mattina ci si ritrova in aula dove l’argomento della lezione è leadership e gestione di un gruppo di pari livello (in questo caso 4) in situazioni variabili. Successivamente si passa alle prove di carteggio. Io mi trovo ad eseguire una pianificazione piuttosto semplice e la simulazione di alcuni rilevamenti per fare il punto nave; gli altri hanno in più il compito di calcolare anche lo scarroccio causato dalle correnti.
Dopo le 13 siamo in acqua ed io improvvisamente ripiombo nel mood in cui mi ero ritrovato la settimana precedente. La sensazione è che il kayak non risponda come dovrebbe, la realtà è che il kayaker ha addosso troppi mesi di ruggine.
Comunque il recente cambio all’ora legale ha allungato le giornate e questo ci concede sufficienti ore di esercitazione in acqua. Facendo simulazioni di leadership in passaggi stretti arriviamo fino alle “due sorelle” dove troviamo un po’ di vento.
salvataggi e zatteramenti vari
Nella navigazione di ritorno inizio a sciogliermi un po’, a riprendere pian piano confidenza con il kayak ed il mio corpo inizia a svincolarsi (parte sotto con il kayak, parte sopra con la pagaia).
L’indomani mattina di nuovo in aula, intavoliamo una discussione su alcuni dubbi sorti il giorno precedente durante dei test con rimorchi complessi ad un pagaiatore infortunato. E questo fa da perfetta introduzione coerente con la lezione della giornata: incident management.
Pranzo al volo e poi nuovamente in acqua per gli esercizi. Ci hanno raggiunti anche Felice e Ado per affiancare l’instancabile Guido.
rimorchi e zattere
Domenica mattina è arrivata con il briefing la notizia che ci aspettavamo, anche se tutti fino all’ultimo abbiamo sperato in un improvviso cambio della situazione. Il meteo ci ha offerto tre giorni di acqua piatta e vento assente: non ci sono le condizioni per ritenere valido l’esame. Usciamo comunque per ulteriori esercizi, vogliamo sfruttare fino all’ultimo minuto disponibile questa possibilità di crescita e confronto. Molti, come me e le ragazze di Salerno hanno fatto non pochi km in auto per essere qui.
Mentre eravamo in acqua è arrivato del vento, tra i 10 ed i 15 kts di maestrale, assieme a circa 50 cm di ondina. Ancora non abbastanza per una certificazione di livello 4 ma - evidentemente - i tre Maestri devono averle giudicate sufficienti per un SK3 così, a sorpresa, durante il debrief mi è stato comunicato che per me la Certificazione Pagaia Azzurra - Sea Kayak di livello 3 era raggiunta!
Per gli altri l’esame è solo rimandato… chissà che non sia occasione per ritrovarsi ancora tutti assieme. Siamo stati davvero un bel gruppo!